“Galbiate, adi 12 Giugno 1778. Carissimo Nipote, avete fatto un gran torto a vostro Fratello, a vostra Madre, ed alli altri vostri Parenti a non prender da essi consiglio prima di farvi soldato. Se credeste che il mestiere che ora avete scielto sia facile, e abbiate così a godere buon tempo, v’ingannate. Se vi rincresceva star soggetto al Padrone, o lavorare, ora vi converrà andare [a] lavorare il doppio, dormir pocco, far lunghi viaggi sotto l’aqua e la neve, vivere in mezzo a pericoli di morte, e star soggetto a molti padroni, che vi faranno stare a poco pane, a bastonate tante. Guardate che bel cambio avete fatto. Se il farvi soldato fu vera vocazione, supererete in parte queste dificoltà, ma se fu qualche capricio, state fresco. […] Vostro affezionatissimo Zio […]”.
Diamine, ho pensato, quando l’ho letta: ma questa è la mia storia! Cioè, cambiate le cose da cambiare. In una sabato mattina di ripiego, stanca morta per la settimana in trasferta, mi trovo a occuparmi delle solite ultime cartelle di un fondo infinito. Sono a pezzi e fatico a concentrarmi. Sto per alzare bandiera bianca e chiudere tutto, quando l’occhio coglie qualcosa. Poi la lettura si fa improvvisamente attenta. E’ la lettera di uno zio saggio a un nipote sconsiderato. E’ lì, in mezzo a un tripudio di atti notarili di divisioni di beni, e finisco anche per capire il perché. Continua a leggere