Fotografie e documenti

Io ti salverò

I documenti accompagnano la mia vita anche quando non lavoro. Mi piacciono in quanto testimonianze di vita, soprattutto della vita delle persone comuni. Uso la parola documento nel suo significato etimologico: tutto ciò che insegna, mostra, informa di qualcosa. Che testimonia appunto ciò che è o ciò che è stato. Nel termine inglobo dunque – oltre ai documenti nel senso comune, quali atti et similia – anche fotografie, lettere, cartoline e persino vecchi libri e riviste.

La passione per i “documenti” e per la storia si unisce a quella per i mercatini delle pulci e passa attraverso la forma più tecnologica e moderna degli acquisti online su siti specializzati. Quando si dice il progresso.

Poi c’è l’aspetto emotivo. Si chiama “io ti salverò” e scatta ogni tanto di fronte a qualcosa che mi colpisce: la fotografia tutta sgualcita di un povero fante ferito, qualche lettera sbrindellata, il quaderno di un innamorato respinto… Una sorta di riscatto che sento di dovere a frange d’umanità che per qualche motivo hanno subito un male o un torto o solo un dispiacere. Questo tipo di riscatto è fratello del cercare storie negli archivi, storie di gente comune che di sé non ha lasciato tracce se non in qualche polverosa carta dimenticata.

E poi c’è la soddisfazione della scoperta. Raramente si tratta di documenti di valore, più spesso hanno senso e pregio solo per me. Eppure poche cose mi dànno il piacere che provo quando mi siedo per terra a gambe incrociate tra una bancarella e l’altra e ficco le mani dentro qualche scatolone per spulciare fotografie di sconosciuti, lettere d’amore, documenti di vita ordinaria dimenticati nelle soffitte e raccattati dagli svuotatori di solai e cantine.

Non sono sola

Non sono sola, no. Condivido la passione per questo genere di cose con un amico, che ha criteri più scientifici di me e meno “emotivi”.

Io cerco e acquisto solo ciò che mi piace e che mi provoca un qualche turbamento. Come se avessi le “farfalle nello stomaco”. Lui, l’amico e collega, è un collezionista fatto e finito. Cerca ciò che completa la sua collezione. Direi che però il criterio di fondo è il medesimo e questo sì, è altamente scientifico, se no si perde il gusto, il piacere: è il minor prezzo possibile. Non cerchiamo cose preziose e rare, cerchiamo piccoli brandelli di storia.

L’altro criterio è che ci si diverta. Le spedizioni nei mercatini, a volte un po’ equivoci, sono e devono essere uno spasso, uno spazio di libertà in cui il mio mestiere, già tanto amato, diventa occasione per momenti di felicità e di condivisione. Con l’amico e collega, mentre passiamo ai raggi X le mercanzie dei robivecchi, commentiamo e chiacchieriamo di tutto. Di storia, ma anche di vecchi dischi e delle carabattole in cui ci imbattiamo. E su cui a volte rischiamo d’inciampare.

Nel 2012 più o meno o forse appena prima è cominciata anche la frequentazione dei siti di vendita online. Anche qui su impulso di G., anche qui per il piacere della scoperta. Però il piacere, per me, è meno intenso rispetto ai mercatini delle pulci: sarà il non poter toccare gli oggetti, sarà la competizione con gli altri possibili acquirenti, sarà che sono semplicemente una che si innamora delle vecchie cose passando per le sensazioni tattili e olfattive. Sono abituata all’odore delle vecchie carte, alla patina di sporco e polvere dei documenti d’archivio. Tutto questo è escluso negli acquisti online.

Non dico che non ci siano sorprese però, a volte molto piacevoli. Ricordo quando ho acquistato una vecchia cartolina raffigurante il palazzo del Senato di Milano, dove ha sede l’Archivio di Stato. Il palazzo è una delle mie “fisse”. Lo cerco ovunque, come da ragazzina collezionavo foto del mio attore preferito. La foto della cartolina sul sito era solo quella del recto: raffigurava il palazzo col Naviglio ancora scoperto. Una cartolina viaggiata, non mi veniva detto niente di più. Quando mi  è arrivata a casa ho scoperto che era stata inviata da Giovanni Vittani a un conoscente o amico siciliano. Giovanni Vittani è stato uno dei massimi esponenti della Scuola archivistica milanese, nonché direttore delll’Archivio di Stato  fra il 1920 e il 1938. Ho immaginato che quella cartolina aspettasse me.

La mia raccolta

Raccolta, non collezione, perché disordinata, cresciuta un po’ a dismisura per le dimensioni del mio monolocale.

E’ costituita da:

  • lacerti di archivi andati perduti di piccoli enti locali, di cui qualche robivecchi nello svuotamento di vecchie cantine ha raccolto qualche foglio svolazzante, salvatosi dalla distruzione chissà perché;
  • corrispondenza privata che ho pescato qua e là e un piccolo quaderno dei primi del Novecento, tutto sbrindellato, in cui un innamorato ha scritto le sue pene d’amore per una Bruna o “bruna” formosetta e indifferente;
  • fotografie di donne, di bimbi, di ragazzetti nelle colonie marine, di scolaretti in posa con la classe, di operaie in un dinamitificio vicino a Torino, di amici gaudenti, di un medico un attimo prima di incidere un cadavere nel 1903, di cerimonie ufficiali (uno degli arrivi a Milano dei resti dei caduti durante la Grande guerra), di opere di scultura, di monumenti (quello che c’era prima della Seconda Guerra di fianco all’Archivio di Stato, poi distrutto dai bombardamenti), di vecchie case nobiliari e no, della guerra del Vietnam;
  • il reportage fotografico completo degli affreschi dentro la bella chiesa di San Giovanni alle Case rotte di Milano, prima che venisse vergognosamente abbattuta nel 1906;
  • foto – private o di regime – delle colonie italiane, in particolare di Addis Abeba (un’altra delle mie passioni) e un album di un soldato toscano di stanza colà;
  • cartoline raffiguranti luoghi e persone, foto di attrici di teatro dei primi del Novecento con autografi (una di Pina Menichelli, da lei inviata a un’amica);
  • un libro di testo manoscritto (con decine e decine di campioncini di seta) appartenuto a un allievo del “Corso teorico-pratico di tessitura serale e festivo per gli operai” della Regia Scuola di setificio in Como (biennio 1920 – 1921);
  • qualche vecchia lastra fotografica di vetro, una con una veduta del Cairo dei primi del Novecento, un’altra – perfetta – raffigurante il duomo di Lodi;
  • vecchie annate di riviste (sulla donna fascista, per esempio), vecchi manuali sulla ginnastica per le donne, sul pro e il contro del concedere il suffragio femminile…

Et cetera. Perché c’è molto altro ma questo mi viene in mente a memoria. Il buffo è che – se ricominciassi da capo – comprerei le stesse cose. Sono un’irriducibile amante di scartafacci, carabattole e cianfrusaglie, che ha trovato uno sfogo plausibile, se non proprio civilmente accettato, nell’archivistica e dintorni.

Ho un vezzo

Un vizio, se vogliamo. Quando finisco un lavoro d’archivio ho bisogno di conservare un ricordo. Qualcosa di materiale che mi riporti ai momenti in cui smistavo le carte di quel fondo o mi occupavo di quella storia. Allora mi fiondo sul web e cerco qualcosa.

Cerco qualcosa e l’acquisto.

Per l’Amministrazione Porta, per esempio, sono le foto della dimora principesca e un po’ kitch del cavalier Enrico a Mariano Comense. Per il Fondo Sordomuti Poveri è una vecchia cartolina inviata a un benefattore dove quei poveri disgraziati sono in posa a formare una parola: “Grazie”. Per la storia dell’evaso dalla Guiana, dalla cui vicenda avevo tratto un dossier per “I documenti raccontano” e che è stata narrata in un libro da Roberto Grassi, sono vecchie cartoline che raffigurano La Canebière a Marsiglia, teatro della rapina, e i forzati all’imbarco per il bagno penale all’Ile de Ré.

A volte non trovo nulla per anni, ma non demordo. Cerco, frugo. Sono cocciuta e caparbia di mio.

(Ermis)

2 risposte a “Fotografie e documenti”

  1. Isabella ha detto:

    Nella casa che ho acquistato a torino ho trovato una scatola di vecchie fotografie di famigliaolto belle, dai primi del ‘900 sino agli anni 70. Ho contattato i parenti ma non sono interessati a ririrarle. C’è qualcuno che le vuole? Io non ho spazio per tenerle ma non vorrei proprio buttarle…..

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