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Dinamitificio Nobel (2)

Luigi Dei, I felt reborn (Primo Levi): from the Nobel dynamite factory to a remembrance place, in “Substantia. An International Journal of the History of Chemistry”, vol 1, n. 1 (2017), pp. 55-59

Mi piace raccontare come ho conosciuto questo articolo. Mi piace raccontare le piccole storie nella storia. Mi piace raccontare gli invisibili fili che collegano le cose e che regalano a me piccoli infiniti orizzonti di conoscenza.

Non sapevo nulla di Primo Levi, nulla più di quel poco che ti insegna la scuola e che resta dopo tanti anni più o meno vagolante nella memoria, se non sorretto da un interesse e una passione personali. Io non li avevo. La shoah, i ricordi di quanti hanno vissuto quei momenti mi sono sempre parsi troppo dolorosi, troppo difficili da maneggiare. Per lo più li ho evitati, con franchezza. Anche se ora, a distanza, ricordo un brano di Primo Levi che non sapevo di ricordare: quando spiega a Jean in Se questo è un uomo il canto di Ulisse dell’Inferno dantesco. Mi è comparso nella testa all’improvviso, come tirato fuori da un cassetto invisibile.

Mi capita di osservare che la vita spesso ricorre a strani mezzi per farti superare le paure e le colpevoli dimenticanze. Basta avere pazienza. Un giorno trovo nel solito mercatino di Milano due fotografie tutte scarabocchiate dietro. Me ne interessa una sola in verità: operaie in una fabbrica di munizioni, presumibilmente durante la Prima guerra mondiale. In quel periodo – ahimé – mi occupo di archivi delle donne: ho un interesse specifico.

L’altra fotografia raffigura un operatore che compie qualcosa con un macchinario. E’ della stessa serie, l’acquisto per quello. Sono ben un’archivista! Vedo serie dappertutto… A casa scopro, decifrando i ghirigori sul verso, che si tratta di uno stabilimento ad Avigliana, vicino a Torino, e che le operaie e l’addetto svolgono operazioni concernenti le polveri. Non può che essere il dinamitificio Nobel. Quello andato avanti dal 1872 al 1965, ora museo. Se pare poco.

La storia del dinamitificio non l’accenno neanche. Per me è stata una scoperta, per certi versi persino lacerante. Mi colpivano le donne ritratte nella fotografia: colte nelle loro mansioni quotidiane, eppure in posa, come in un quadro. E quell’ambiente essenziale, la scala di legno, la luce sapientemente dosata e orientata, la fissità dei gesti, quasi assoluti. Le foto per un opuscolo di propaganda, avevo pensato. Poi non ci pensai più.

No, Primo Levi non mi era balenato nella testa. Non ancora. E’ stato solo quando Pierandrea Lo Nostro per il primo numero della rivista Substantia dell’Università degli Studi di Firenze – rivista dedicata alla storia della chimica – mi ha chiesto la cortesia di riprodurre una delle fotografie di Avigliana. Quella dell’operatore impegnato – come leggevo sul verso – nel tiro al cronografo per il collaudo delle polveri. Serviva a illustrare un articolo di Luigi Dei dedicato a Primo Levi. Che strano – ho pensato. Mai avrei creduto che proprio quella fotografia potesse interessare qualcuno. Mai avrei pensato che potesse servire per raccontare Primo Levi.

E’ allora che mi sono messa a cercare. Un po’ sul web e un po’ in quegli invisibili cassetti della memoria, dove archivio – per lo più inconsapevolmente – i miei saperi. Finisco col ricordare che Primo Levi era un chimico. Rammento che è di Torino. Vengo a sapere che il suo primo impiego dopo l’esperienza atroce dell’olocausto è presso una nota fabbrica di vernici, la Duco.

DUCO_Smalti_1941Solo quando leggo il bell’articolo di Luigi Dei, completo il puzzle e colloco i pezzi mancanti. La Duco Montecatini è lì, ad Avigliana. Occupa – come leggo – proprio una parte del vasto complesso che ospita il dinamitificio. Un luogo che evoca la morte e che invece per Primo è il luogo dove nascere ancora. Incontra la donna della sua vita, i fantasmi sembrano dileguarsi. “I felt reborn” appunto. Mi si è sciolto qualcosa dentro, un grumo che mi teneva distante dallo scrittore, e mi è comparsa una disperata voglia di leggere, di capire l’uomo. Poi, in linea con la mia formazione, mi ha preso la solita incorcibile voglia di capire i luoghi e la storia che gli uomini vi intrecciano sopra.

Mi piace pensare che la storia sia un po’ come collegare con la matita numeri in sequenza fino a formare una figura, come in quel giochino che facevo da bambina sulla Settimana enigmistica di mamma. O forse quell’altro in cui dovevi annerire con la biro gli spazi col puntino, finché non ti compariva la vignetta.

Solo che la storia non è fatta di numeri o di puntini: è fatta di uomini, di luoghi, di azioni. La storia in verità è fatta di storie, che si intrecciano e si aggrovigliano fino a formare quella che appunto noi chiamiamo storia.

Ho voglia di andare ad Avigliana, tutto qui. E di collocare negli spazi reali le immagini che ho in testa. Di sovrapporre le fotografie a quel che rimane, di immaginare il brulicare di uomini e donne nel dinamitificio. E Primo Levi rinato che varca le soglie della Duco Smalti e vernici.   (Ermis)