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archivio_stato_cagliari_1Prima ancora di guardarle le ho annusate. L’odore è quello della carta di quegli anni. E’ uguale, proprio uguale all’odore delle pagine dell’Enciclopedia Edizioni Labor di papà, quella che da bambina sfogliavo fino alla perdizione, rapita da ciò che il mondo sembrava contenere.

La carta prende odori diversi a seconda dei secoli e dei luoghi. Ma più dei secoli. Da archivista la saprei datare a occhi chiusi, solo “a naso”. Quella del Quattrocento e Cinquecento è asettica, senza odore né sapore – vedi lo Sforzesco -, saranno i maneggi che ha subito; il Seicento e il Settecento san di polvere e di nobiltà – vedi gli archivi di famiglia che frullo, il Taverna per esempio; l’Ottocento è pesante e nella seconda metà ha un che di plumbeo, inizia la carta industriale, vabbè; il Novecento è sporco per definizione e l’odore è quello di cantina male-aerata e di sciatteria protratta all’ennesima potenza, vedi gli archivi degli enti pubblici e i carteggi privati che mi capita di riordinare.

archivio_stato_cagliari_2Le cartoline dell’Archivio di Stato di Cagliari sono belle. Le direi bellissime, se fossero viaggiate, ma non c’è da pretendere: è pur sempre un archivio di Stato, un posto misconosciuto ai più. Quando le ho scelte ho impiegato un po’ a capire cosa mi colpiva. In realtà non sono mai stata all’Archivio di Cagliari. Devono essere state scattate (e preparate) per la riapertura dopo gli sconquassi della guerra e i bombardamenti alleati del 1943. Almeno credo. La qual cosa mi fa ricordare che mi sono formata in un archivio di Stato sconquassato a sua volta nell’agosto del 1943 dalle bombe. O forse sono cartoline che celebrano la nuova e bella sede del 1927, magari ristampate. Chissà.

archivio_stato_cagliari_3In realtà ciò che mi piace, ciò che non posso fare a meno di ammirare, è la beata semplicità francescana degli arredi. Una semplicità monastica, quasi l’Archivio fosse un luogo di penitenza. La sala di studio sembra un vecchia aula di scuola, non c’è nulla di più, nulla di troppo. E la sala della mostra non potrebbe essere più disadorna di così. Gli archivi in verità non sono nati per i fronzoli, contengono documenti non bonbon. A guardare l’infilata di buste, filze, pacchi, scatole sugli scaffali possono al limite definirsi il regno della geometria, a volte scomposta. Questo basta ad appagare l’occho e non richiede altro.

Faccio mentalmente il paragone con altri archivi che ho visto, in cui ho studiato, in cui mi sono imbattuta: messi in mano agli architetti sono diventati bomboniere, privati e predati degli arredi che talora per secoli avevano protetto gli studiosi da ogni distrazione e convogliato la mente solo sulle carte, sulla preziosa difficile infinita memoria delle carte. (Ermis)