Primo Levi, un chimico

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Dinamitificio Nobel (2)

Luigi Dei, I felt reborn (Primo Levi): from the Nobel dynamite factory to a remembrance place, in “Substantia. An International Journal of the History of Chemistry”, vol 1, n. 1 (2017), pp. 55-59

Mi piace raccontare come ho conosciuto questo articolo. Mi piace raccontare le piccole storie nella storia. Mi piace raccontare gli invisibili fili che collegano le cose e che regalano a me piccoli infiniti orizzonti di conoscenza.

Non sapevo nulla di Primo Levi, nulla più di quel poco che ti insegna la scuola e che resta dopo tanti anni più o meno vagolante nella memoria, se non sorretto da un interesse e una passione personali. Io non li avevo. La shoah, i ricordi di quanti hanno vissuto quei momenti mi sono sempre parsi troppo dolorosi, troppo difficili da maneggiare. Per lo più li ho evitati, con franchezza. Anche se ora, a distanza, ricordo un brano di Primo Levi che non sapevo di ricordare: quando spiega a Jean in Se questo è un uomo il canto di Ulisse dell’Inferno dantesco. Mi è comparso nella testa all’improvviso, come tirato fuori da un cassetto invisibile. Continua a leggere

“Or non è più”. La Biblioteca dell’Abbazia di Montecassino

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Lo splendido centro culturale dell’Abbazia cassinese, gioiello dell’umanità, distrutto durante i bombardamenti dell’ultima guerra: la sala della Biblioteca superiore, coi suoi arredi importanti e i volumi ordinati. La cartolina fa parte di una serie emessa nei primi anni dopo il conflitto per promuovere la raccolta di fondi per la ricostruzione dell’Abbazia. Continua a leggere

Le scuole femminili milanesi in visita al Palazzo del Senato (Archivio di Stato)

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E’ l’8 giugno 1909 quando le fanciulle delle scuole milanesi visitano il monumento equestre a Napoleone III, che si ergeva allora – tronfio e maestoso – proprio in mezzo alla prima corte del Palazzo del Senato. Palazzo che ospitava, come ospita tuttora, l’Archivio di Stato. La data non era casuale: si trattava del cinquantenario dell’ingresso di Vittorio Emanuele II e di Napoleone III in città dopo la battaglia di Magenta, combattuta il 4 giugno 1859.

Doveva essere una bella giornata, anche se il color seppia della cartolina non permette di apprezzare il blu del cielo, ma non c’è da dubitarne: giornate piene di sole si vedono anche a queste latitudini. Mi colpiscono l’aria di festa, le vesti bianche e svolazzanti delle fanciulle, i grandi cappelli, le signore e i signori eleganti (maestri e maestre?). Dànno un tocco così delicato e gioioso all’insieme austero del glorioso palazzo, che stento a riconoscere il cortile nudo che conosco ora. Continua a leggere

Già deposito d’archivio. La chiesa di San Giovanni alle Case rotte

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La chiesa non esiste più. Non esiste più dal 1906, quando fu abbattuta dalle maestranze dell’architetto di grido Luca Beltrami per far posto all’imponente sede della Banca Commerciale Italiana. Proprio lì, in piazza della Scala a Milano. Quando si dice il potere dei soldi.

Riccamente affrescata, opulenta, era stata rimaneggiata dal Richini. Un piccolo gioiello del barocco, per lungo tempo in mano a una confraternita di disciplini che si occupavano dell’assistenza ai condannati alla pena capitale e della sepoltura dei cadaveri. La buona morte, appunto. Continua a leggere

Il voto alle donne. “Aspetta e vedrai!”

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voto_cartolina_rectoUn gran cappello coi fiori, un viso serio, con quel movimento della testa colto dallo scatto che rende tutto un po’ nebuloso, la signora brandisce un giornale e lo mostra a un tipo brillante con paglietta. “Signore, avranno mai il voto le donne?”. La risposta – “Aspetta e vedrai!” declinata al voi di cortesia – ha quel tanto di ambiguo che non consente di capire bene. Però intriga e lascia tutto in sospeso. Per comprendere le intenzioni racchiuse nelle parole scritte, lo sguardo si sofferma sull’espressione dei volti, sugli ammiccamenti del giovanotto, su quel dito puntato sotto il naso della suffragetta. Continua a leggere

Bimbi al mare

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Lo so che non è stagione, ma non importa. Ogni tanto mi rilasso guardando foto che mi portino col pensiero alle vacanze che non riesco mai a fare. Questa coi bimbi al mare, per esempio, una delle prime che ho scelto per me al mercatino dei Navigli, tanto tempo fa. Completamente anonima, un po’ sbrindellata per i maneggi e l’incuria del venditore eppure così bella. Primi anni del Novecento.

I bambini in foto sono sempre meravigliosi, come del resto dal vero. Posseggono ed esibiscono quella naturalezza che manca agli adulti. Se sono imbronciati, impauriti o semplicemente felici e divertiti, lo mostrano senza schermi, senza pudori, senza reticenze. In questa foto è così: tutti in posa per lo scatto, che si indovina lunghissimo – e infatti la bimba in primo piano a sinistra si muove -, tutti con la loro espressione vera dipinta sul volto. Chi scocciato, chi distratto, chi incuriosito. Continua a leggere

Montecassino. Archivio cassinese. Sala dei codici

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A proposito di sale d’archivio. Questa è della splendida abbazia benedettina distrutta dai bombardamenti alleati nell’ultima guerra. La cartolina è del 1932. Armadi di legno a tutta parete, quadri, puttini seduti sull’ultimo ripiano degli scaffali. Poi il materiale, bello allineato, parte a vista, e la scaletta per raggiungere gli ultimi tomi, quelli più su. Voglio sperare che la scaletta corra su una guida, che non sia a rischio di sfracellamento, come quelle a pioli di mio nonno capomastro, tutte rattoppi e pioli mancanti. Non saprei. E’ una cartolina comune; alcune della serie raffigurano i padri archivisti intenti a leggere i codici preziosi. Questa no, mostra solo gli arredi com’erano nella vecchia concezione, quando l’archivio era l’arca del sapere: mobili scuri, austeri, importanti, un solo tavolo, un paio di sedie, tutta l’attenzione focalizzata lì, sui documenti. C’è un grande affastellamento di volumi e carte sul tavolo, creato ad arte per il fotografo che deve ritrarre qualcosa di non immediata comprensione. Continua a leggere

L’Archivio di Stato di Cagliari

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archivio_stato_cagliari_1Prima ancora di guardarle le ho annusate. L’odore è quello della carta di quegli anni. E’ uguale, proprio uguale all’odore delle pagine dell’Enciclopedia Edizioni Labor di papà, quella che da bambina sfogliavo fino alla perdizione, rapita da ciò che il mondo sembrava contenere.

La carta prende odori diversi a seconda dei secoli e dei luoghi. Ma più dei secoli. Da archivista la saprei datare a occhi chiusi, solo “a naso”. Quella del Quattrocento e Cinquecento è asettica, senza odore né sapore – vedi lo Sforzesco -, saranno i maneggi che ha subito; il Seicento e il Settecento san di polvere e di nobiltà – vedi gli archivi di famiglia che frullo, il Taverna per esempio; l’Ottocento è pesante e nella seconda metà ha un che di plumbeo, inizia la carta industriale, vabbè; il Novecento è sporco per definizione e l’odore è quello di cantina male-aerata e di sciatteria protratta all’ennesima potenza, vedi gli archivi degli enti pubblici e i carteggi privati che mi capita di riordinare. Continua a leggere

Con tanta tenerezza

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nando_alla_zia_rectoQualche foto ogni tanto mi ruba l’anima senza un perché. Questa, per esempio. Formato cartolina, da un giorno di maggio del 1938, Asmara, Eritrea. C’era stato anche mio nonno, quello che non ho conosciuto. L’ho presa in mano, scegliendola da un guazzabuglio di mille altre in uno scatolone, all’aria e al sole di un qualche mercatino. Cordusio, mi pare.

Spiccava: a chi può venire in mente di farsi ritrarre alla scrivania, intenti a scrivere, con un papillon e la giacca e tutto un armamentario da ufficio? Me ne sono innamorata: dell’uomo col papillon, del tampone asciuga-inchiostro, della tavoletta con l’ago infilza-documenti, della tappezzeria un po’ carica e quelle mani ossute in primo piano, sul tavolo lucido. Continua a leggere

Mamasans washing

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guerra-del-vietnam_mamasan_washingIntuisco più che capire. Più che altro ho nella testa immagini di un paio di film e le note di una canzone nelle orecchie. Quella degli Animals, When I was young. Guerra del Vietnam, mi ha detto chi me le ha vendute. Ha senso, da quel poco che so. Le mamasans lavavano le uniformi e lucidavano gli scarponi dei soldati americani. E forse qualcos’altro.

Ho acquistato quelle che costavano meno e che però mi piacevano di più. Perché sì, costavano e non potevo prenderle tutte e poi ero attratta dal cartello e dalle parole Drive carefully. Mamasans washing. E nell’altra foto dal giovanotto di spalle col giubbotto di pelle e la camionetta sullo sfondo. Sembravano fotogrammi da un film. Continua a leggere